lunedì 14 dicembre 2015

Kamut: un mito da sfatare



Ha buone proprietà nutrizionali ed è eccellente per la pastificazione, ma non è stato "risvegliato" da una tomba egizia e non è adatto ai celiaci. Inoltre viene coltivato e venduto in regime di monopolio, ha un costo eccessivo e una pesante impronta ecologica.



Luci e ombre sul Kamut - o meglio, del Khorasan: un tipo di frumento che tra l'altro abbiamo anche in Italia.
"Kamut" non è il nome di un grano, ma il marchio commerciale (come "Mulino Bianco" o "McDonald's") che la società Kamut International ltd ha posto su una varietà di frumento registrata negli Stati Uniti con la sigla QK-77, coltivata e venduta in regime di monopolio e famoso in tutto il mondo grazie a un'operazione di marketing senza precedenti.

C'è chi chiama questa varietà anche "grano del faraone", perchè si racconta che i suoi semi sono stati ritrovati intorno alla metà dello scorso secolo in una tomba egizia e inviati nel Montana, dove dopo migliaia di anni sono stati "risvegliati" e moltiplicati.
Il marketing decisamente efficace che è alla base del successo del Kamut ha fatto leva su tre aspetti: la suggestiva leggenda del suo ritrovamento, l'attribuzione di eccezionali qualità nutrizionali e una presunta compatibilità per gli intolleranti al glutine. Parliamone.
Il Frumento orientale o grano grosso o Khorasan - lo chiamiamo con il suo nome tramandato, comune e «pubblico», mentre Kamut è un nome di fantasia registrato - è una specie (Triticum turgidum subsp. turanicum) appartenente allo stesso gruppo genetico del frumento duro: presenta un culmo (fusto) alto anche 180 cm; ha la cariosside (chicco) nuda e molto lunga, più di quella di qualunque altro frumento; è originario della fascia compresa tra l'Anatolia e l'Altopiano iranico (Khorasan è il nome di una regione dell'Iran); nel corso dei secoli si è diffuso sulle sponde del Mediterraneo orientale, dove in aziende di piccola scala è sopravvissuto all'espansione del frumento duro e tenero.

L'invenzione commerciale del ritrovamento
Dunque, per trovare il Khorasan in Egitto non era (e non è) davvero necessario scomodare le tombe dei faraoni; senza contare che un tipo di Khorasan era (e, marginalmente ancora è) coltivato anche tra Lucania, Sannio e Abruzzo: è la Saragolla, da non confondere con una omonima varietà migliorata di frumento duro ottenuta da incrocio e registrata nel 2004 dalla Società Produttori Sementi di Bologna. Inoltre non bisogna dimenticare che la germinabilità del frumento decade dopo pochi decenni, per quanto ideali siano le condizioni di conservazione. Tutto questo porta a riconoscere nella storia del presunto ritrovamento del Khorasan/Kamut solo una fantasiosa invenzione commerciale, elaborata per stimolare il desiderio di qualcosa di puro, antico ed esotico. E, a onore del vero, anche la stessa K.Int. ha preso le distanze dalla leggenda che, peraltro, ormai non ha più bisogno di essere incoraggiata.
Dai dati oggi disponibili, di fonte pubblica e privata, tra gli elementi di maggiore caratterizzazione del Khorasan ci sono un elevato contenuto proteico, in generale superiore alla media dei frumenti duri e teneri, e buoni valori di beta-carotene e selenio; per le altre componenti qualitative e nutrizionali non ci sono differenze sostanziali rispetto agli altri frumenti (vedi tabella 1 in fondo all'articolo).

Glutine: non ne è né privo né povero
Bisogna, infine, chiarire che, come ogni frumento, il Khorasan è inadatto per l'alimentazione dei celiaci, perché contiene glutine (e non ne è né privo, né povero, come, poco responsabilmente, una certa comunicazione pubblicitaria afferma o lascia intendere) e ne contiene in misura superiore a quella dei frumenti teneri e a numerose varietà di frumento duro (vedi tabella 2 in fondo all'articolo).
Detto ciò, il Khorasan è certamente un frumento rustico, con ampia adattabilità ambientale, eccellente per la pastificazione. Come ogni frumento che non è stato sottoposto a processi di miglioramento genetico o a una pressione selettiva troppo spinta, non ha un glutine tenace e di tenore elevato, e proprio per questo motivo pare che sia più facilmente digeribile dalle persone che soffrono di lievi allergie e intolleranze, comunque non riconducibili alla celiachia: ma questo è proprio ciò che si può dire anche dei farri e delle «antiche» varietà locali di frumento duro e tenero. Se la sua coltivazione è biologica (come permette la sua rusticità e come, per i propri prodotti, assicura il disciplinare del marchio Kamut), si può dire che senz'altro è un prodotto salutare, senza però scadere in esagerazioni né in forzature incoraggiate dalla moda e dal marketing del salutismo.

Costi elevati, per il portafoglio e per il Pianeta
Restano ancora tre aspetti che gettano un'ombra sul prodotto a marchio Kamut (ma non sul Khorasan!):
• il monopolio commerciale imposto dalla K.Int. su un frumento tradizionale che, come tale, dovrebbe invece essere patrimonio di tutti, e più di chiunque altro delle comunità che nel tempo lo hanno conservato e tramandato;
• il costo eccessivo del prodotto finito (dall'80 al 200% in più di una pasta di comune grano duro biologico), poco giustificabile a sostanziale parità di valori qualitativi e nutrizionali, dovuto al regime di monopolio, ai costi di trasporto, ai diritti di uso e ai costi di propaganda, ma dovuto anche agli effetti di un mercato dell'eccellenza che trasforma il cibo in oggetto di lusso, di gratificazione e di distinzione, e che specula sul desiderio di rassicurazione e sul bisogno di salute;
• la pesante impronta ecologica legata allo spostamento di un prodotto perlopiù coltivato dall'altra parte del Mondo che arriva sulle nostre tavole attraverso una filiera molto lunga (migliaia di chilometri), e che, solo per questo fatto, non è compatibile con la filosofia della decrescita e con l'attenzione al consumo locale, fatto se possibile a «chilometri zero».

Note:
Per i dati riferiti in questo articolo, sono stati consultati i siti dell'Associazione Italiana Celiachia (www.celiachia.it), dell'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (www.inran.it), della Kamut International (www.kamut.com), dell'United States Department of Agricolture (www.usda.gov), dell'Institute Scientifique de Recherche Agronomique (http://grain.jouy.inra.fr), l'articolo di A. R. Piergiovanni, R. Simeone, A. Pasqualone, «Composition of whole and refined meals of Kamut under southern Italian conditions» su Chemical Engineering Transactions,
2009, vol.17: 891-896.

Articolo tratto dall'arretrato del mensile Terra Nuova Marzo 2010 disponibile nella versione eBook.


 


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